Chiamo o non chiamo?

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Qual è l’orario migliore per telefonare ai figli all’estero senza disturbarli troppo e senza irritarci (troppo) se non rispondono?

In diciannove anni di esperienza da mamma di cervelli in fuga posso dirvi che:

  • la prima regola è controllare l’orario prima di chiamare, soprattutto se il figlio vive su un “fuso orario” diverso dal vostro;
  • la seconda regola è evitare gli orari in cui già sapete che sono impegnati con lezioni, lavoro, ecc (di solito 8-17);
  • anche l’orario di pranzo, in genere, è tra i peggiori perché spesso all’estero è l’orario perfetto per incontri di lavoro;
  • l’orario di prima mattina potrebbe risultare anch’esso sbagliato perché i ragazzi sono sempre in affanno (hanno fatto tardi la sera prima, sono sootto la doccia o si stanno asciugando i capelli, non trovano le scarpe…);
  • pessimo è anche l’orario fino alle 12 durante il weekend.

E allora quando posso telefonare?

Personalmente trovo che un buon orario sia tra le 19 e le 21 nei giorni feriali e tra le 15 e le 17 nel weekend o nei loro giorni festivi (parliamo sempre di ore locali). Certo, rischiate di dovervi mettere una sveglia sul comodino perché con alcune differenze di fuso orario potrebbe risultare molto dura per voi ma cuore di mamma…

Infine, considerate sempre che se il figlio non risponde, prima o poi si farà vivo; se non lo farà entro i tempi di attesa che voi ritenete sopportabili, inviate un solo sollecito via mail, sms o whatsapp e resistete alla tentazione di richiamare ossessivamente: dietro il loro silenzio, raramente c’è un rifiuto o qualche fatto grave, è solo sciatteria !

Se volete saperne di più sulla vita familiare tra fusi orari distanti, visitate la pagina Evviva, siamo tutti sullo stesso fuso orario!” 

4 pensieri su “Chiamo o non chiamo?

  1. Posso permettermi un consiglio? Non chiamateli MAI, a meno di urgenze serissime. Di solito, ‘nessuna nuova, buona nuova’, mettiamoci pure il cuore in pace: è evidente che possono sopravvivere anche senza di noi, anzi, pure meglio. Inoltre, se li disturbiamo, rischiamo pure di litigare via Skype. Costringiamoci a stare tranquilli, imponiamo a noi stesse di lasciare che decidano loro tutto quanto li riguarda, anche il momento in cui vogliono condividere con noi la loro vita, le loro gioie ed i loro problemi. Saranno più ben disposti a confidarsi ed eventualmente a chiederci consiglio, se sono stati loro a prendere l’iniziativa. D’altra parte, però, nel momento in cui ci cercano, dobbiamo tassativamente essere a loro disposizione, abbandonare tutto il resto ed essere lì con loro, con la testa e con tutte le energie mentali di cui disponiamo, fosse pure notte fonda.

  2. La verita’ e’ che aggiustiamo i nostri ritmi di vita – non solo l’orologio – sui tempi dei figli e guai a disturbarli (mentre loro sono sempre ben accetti, qualsiasi sia l’ora del giorno e della notte!)

  3. Io avendo due expat ho due fusi orari: uno facile di un’ora in Inghilterra, anche sincronizzato come ora legale, l’altro in USA di 8 ore, un po’ più’ complicato (meno male che che c’è la funzione fusi orari sul cell). Si, io sono in pensione e loro molto occupati, per questo si sono stabilite col tempo le seguenti regole: con l’Inghilterra aspetto la chiamata, di solito dopo cena, per cui la serata, a parte qualche impegno “mondano” è spesso dedicata alla chiacchierata con la figlia su Skype quando va, se no col vecchio telefono (a proposito, a voi Skype funziona sempre? io ultimamente ho spesso difficoltà, si blocca spesso). Con l’America, essendo anche il figlio meno propenso alla comunicazione, ci si sente nel week end nel tardo pomeriggio, sempre col caro Skype, previo appuntamento con WhatsApp. Se ci sono altre comunicazioni importanti durante la settimana, la sua pausa pranzo nel lavoro è il momento migliore, sempre previo messaggio.
    Talvolta ricorro alla mail, succedaneo della vecchia cara lettera cartacea che pero’ ti permette di approfondire un po’ qualche argomento. Questo mi ricorda di quando anch’io in gioventù ero una expat, e attraverso le lettere coi miei genitori spesso ci si apriva di più che parlando direttamente.

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