Il ragazzo gentile

Lettera di Giuseppe e Marina

Mi chiamo Giuseppe, sono nato e cresciuto a Napoli fino ai miei 19 anni.
Avevo da poco iniziato l’università, studiavo scienze politiche, ma mi sentivo molto afflitto per quello che era il clima politico in Italia in quel periodo. Era quindi il 2010, vivevamo ancora gli strascichi della crisi di pochi anni prima e io ero al verde, quando ebbi l’illuminazione di provare a trasferirmi all’estero sfruttando l’opportunità offerta dal Servizio di Volontariato Europeo, destinazione imprevista: Stavanger, Norvegia.
Attraverso quest’esperienza ho capito che ciò che aveva più senso per me era fare qualcosa che fosse davvero rilevante e quindi ho deciso di iniziare i miei studi in conservatorio. Ho studiato musica elettronica e tecnologie musicali, prima in Italia, poi in Olanda e infine in Norvegia. Ho due lauree specialistiche. Ho inoltre lavorato in vari centri di ricerca e università a Parigi, Stoccolma, Tbilisi ed Hong Kong.
Ad oggi sono impegnato con un progetto di dottorato presso l’accademia di musica di Oslo. In Italia, i dottorati per le materie musicali manco ce li abbiamo.
Sono contento di vivere in Norvegia perché vivere lì mi dà la possibilità di soddisfare tre bisogni che per me sono diventati veramente vitali. Il primo è quello di sentirmi rispettato sul lavoro e non essere mai considerato “un giovane”, un apprendista o un assistente. Ho solo 31 anni, ma già quando studiavo lì durante la specialistica, in ogni frangente, ero sempre trattato con la massima professionalità.
Il secondo è quello di vivere in un paese che si muove in una direzione che rispetto e riconosco. Mi interesso alla politica, l’ho sempre fatto, che sia leggere libri, scrivere o fare politica attiva dal basso, in Norvegia non ho la preoccupazione che un cambio di governo possa mettere in discussione diritti che considero fondamentali.
Ultima questione, che per me forse è la più importante, in Norvegia sento di poter veramente esprimere la mia gentilezza senza che questa venga fraintesa come una forma di debolezza o un espressione di arrivismo. In Italia, in particolare dopo il periodo della pandemia, per via di tutta una serie di fattori riconducibili a questioni pratiche e psicologiche, sento sempre una forma di strana tensione, come se le persone fossero di default sulla difensiva, come se ci fosse una diffidenza diffusa che non mi permette mai di essere veramente me stesso.

Nota a margine
Sono Marina, la mamma di Giuseppe, il ragazzo gentile.
Sono fiera di mio figlio ma al contempo arrabbiata perché per realizzare il suo progetto di vita vive lontano da me.
Certo la nuova tecnologia mi permette di sentirlo e vederlo quasi tutti i giorni ma non lo puoi abbracciare.
Non l’ho abbracciato nei momenti più dolorosi della sua vita. Quando ha perso i nonni, ad esempio.
Non l’ho abbracciato quando mi ha comunicato di aver vinto il dottorato.
Ma a volte mi sorprende e trovo la sua valigia all’ingresso per una visita a sorpresa inaspettata.
Da lì ripartono lavatrici e cucina!
E sono felice!

Un pensiero su “Il ragazzo gentile

  1. Complimenti a Giuseppe, per aver trovato la sua strada ed essersi realizzato nel lavoro, come nella vita. Ma quanta tristezza, che condivido con la mamma Marina. Da una parte la felicità di vedere i propri figli realizzati, con un lavoro sicuro. Dall’altra la tristezza di averli lontani, di non poter essere presenti a condividere gioie e dolori. Anche io ho figlia e genero lontani. Sono ormai 12 anni che vivono in Germania e lavorano in Svizzera. Lui laureato in organo e direzione di coro. Lei con due lauree una in scienze storiche e un altra in teologia. Qui in Italia non c’erano prospettive, lui suonava in varie chiese ma i guadagni erano miseri senza essere in regola e quindi, un domani, niente pensione. Lei sperava in una cattedra in qualche scuola. Poi hanno deciso di sposarsi ed andare alla ventura in Germania. Con pochi soldi in tasca, e tanta paura, pian piano hanno trovato stabilità, hanno comperato casa, avuto due figli. Ma quanti sacrifici, quante lacrime noi e loro. Io non mi rassegnerò mai, non sopporto questo distacco, il fatto di non esserci nei momenti felici ne in quelli tristi. Di non poter essere di aiuto in nessun modo, di guardarli attraverso uno schermo. Non mi rassegno al fatto di non poter decidere oggi per oggi di correre da loro quando senti o sentono il bisogno di un abbraccio, di una stretta di mano, di un momento di pausa. Non mi rassegnerò mai di non poter essere una nonna a tempo pieno, di raccontare storie, di fare biscotti, di portare e riprendere a scuola. Non mi rassegnerò mai a non poter essere la nonna a cui raccontare piccoli segreti che non si possono dire alla mamma. Purtroppo bisogna essere forti per loro ma vedo il volto di mia figlia, dei miei nipoti, e loro vedono il nostro, che sentono il vuoto che ci separa. Non mi rassegnerò mai a tutto questo!
    Sono felice per loro, so che facciamo i figli per lasciarli andare, per farli volare dal nido. Ma non è giusto che noi e nostri figli non possiamo avere il diritto di continuare una relazione affettiva fatta di vicinanza e mutuo soccorso.
    Cara Marina e caro Giuseppe, scusate il mio sfogo, sono lieta per voi, e vi auguro ogni bene possibile.

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