Da un’indagine Isfol Plus del 2011* emerge che il metodo più diffuso (rispetto ad altre strade) tra gli italiani per trovare lavoro è la segnalazione da parte di amici, parenti e colleghi:
- tra il 1972 e il 1997, il 24,4% degli italiani ha utilizzato la “raccomandazione” per trovare lavoro;
- tra il 1997 e il 2003 questo canale è stato utilizzato dal 34,5% dei nostri connazionali;
- nel 2010, oltre il 38% degli occupati ha trovato un impiego grazie al network di amicizie e conoscenze.
Dunque, quasi quattro italiani su dieci trovano una sistemazione lavorativa puntando sui rapporti personali e professionali.
Ma cosa intendiamo con il termine “raccomandazione” ?
Nel nostro sistema, la raccomandazione è vista (da ambo le parti) come una scorciatoia per l’accesso al lavoro; una scorciatoia segreta che spesso prescinde dal merito del candidato e che viaggia sui binari della parentela, del familismo, dell’amicizia, del voto di scambio, della reciprocità (io faccio un favore a te e tu ne fai uno a me).
E altrove le raccomandazioni ci sono? Quanto contano?
Per esempio, nel mondo anglosassone, la “lettera di referenze” o “recommandation” (o anche più lettere per uno stesso candidato) è strutturata (perché segue uno schema preciso), ha forma ufficiale e, soprattutto, impone a chi la scrive di mettersi in gioco e di essere responsabile di quanto dichiarato. Inoltre, la persona segnalata non deve venire a conoscenza del contenuto della raccomandazione ( se volete saperne di più, leggete l’intervista a Beppe Severgnini).
Quindi, se il vostro expat ha successo all’estero … lo deve solo a stesso ed alle ottime “lettere di raccomandazione” che ha – a sua insaputa – ricevuto.
*ISFOL, “Canali di intermediazione e ricerca di lavoro”, 2011