Soli tra la folla

Lettera di mamma Kiarella

Lei è via da tre anni, lavora in un grande ospedale di una capitale europea, a Natale non aveva né ferie né giorni off e quindi abbiamo prenotato e siamo andati là noi, mamma e papà con gli altri due figli.

Natale via da casa, anche se in una meravigliosa città, è stata una esperienza nuova e un po’ straniante: c’eravamo noi, la sorpresa, l’affetto, i regali, il suo orgoglio di ospitarci nella sua casa e farci vedere come è ben organizzata, i cappelletti in brodo di cappone, il panettone, l’albero di Natale comperato già a ottobre, gli abbracci e l’allegria.

C’era la Messa di mezzanotte con un coro polifonico commovente, il libretto per seguire testi e i canti che-li-sanno-tutti: è stato indimenticabile cantare “Hark! The herald Angels sing: Glory to the new born King” accompagnati da un organo a ottantaquattro registri.

E c’era la predica, ascoltata curiosamente perché fatta apposta per i turisti e… gli immigrati.

Eh sì, altro che expats: gli immigrati siamo noi. Centomila italiani in quel paese, spesso col colletto bianco e senza la valigia di cartone.

Sono i nostri figli quei giovani immigrati che vivono con amici o conterranei scelti o subìti, che sono partiti per stare via qualche mese e imparare la lingua e sono ancora là. Sono le ragazze alla pari, i commessi e i baristi che ti vengono a servire non appena sentono il tuo accento, i musicisti di strada e gli architetti negli studi prestigiosi, i ricercatori che l’Università italiana è satura, i medici e paramedici perché qui nella sanità non si assume nessuno… e anche i camerieri in nero nel ristorante dietro casa.

Sono loro quelli che lavorano fianco a fianco con colleghi da tutto il mondo, stringendo amicizie frettolose e distanti perché la metropoli divide.

Sono loro che sono diventati cosmopoliti, che parlano più lingue (finalmente), che hanno visto un pezzo di mondo, che per le ferie prendono il primo volo low cost per vederne un altro pezzo, che sanno mangiare con le bacchette e pronunciare i nomi dei menù giappo e thai e forse trasaliscono per “l‘effetto madeleine” quando arrivano i pacchi da casa con i tortelli verdi e il Parmigiano Reggiano.

Sono loro quei piccoli uomini e piccole donne coraggiose, partiti per scherzo alla ricerca di opportunità, determinati verso una vita nuova; sono loro che diventano adulti lontano da noi – smettila, prendere un aereo ormai è come prendere un treno – che hanno amici nuovi e diversi e nuovi paesaggi dell’anima. Ebbene sì, a casa c’è la sindrome del nido vuoto, ma noi siamo genitori moderni. Talvolta.

Essere là con loro, nella gioia dello stare insieme e nella stranezza dell’essere “pochi”, nell’affollamento delle piazze, delle chiese, dei teatri, dei musei e nella consapevolezza di essere “solo noi”, senza i nonni e i cugini piccoli, la zia sorda e l’ultimo nato, gli amici di sempre e i conoscenti che per le Feste gli vuoi più bene.

Ci siamo sentiti, per pochi giorni, un po’ come i nostri immigrati, come le badanti, come i vicini del Ghana: sostanzialmente soli, il nucleo familiare separato della rete parentale e amicale, con un pensiero di nostalgia per chi è “a casa” e con Skype e WhatsApp sempre in stand-by.

E’ stato bello, ma a Pasqua torni tu senza se e senza ma.

5 pensieri su “Soli tra la folla

  1. La lettera di Kiarella mi ha portato indietro di moltissimi anni:
    era Pasqua, era New York, ero io l’expat di turno e i miei genitori erano venuti a trovarmi.
    Dopo qualche giorno passato tra musei, grattacieli ed attrazioni newyorkesi, mia madre mi disse: “per non essere proprio noi soli il giorno di Pasqua, non e’ che ci porteresti a Little Italy?”

  2. Sono una mamma sola e arrabbiata. Arrabbiata con il nostro ” Bel Paese” che costringe i nostri figli a lasciare la loro terra e la loro famiglia per cercare la propria dignità di individuo nel mondo. I sacrifici di questi ragazzi che per anni hanno studiato con la speranza di realizzare i propri sogni e che sono stati defraudati e delusi da una società che li vuole lontani a cercare quello che ogni essere umano ha diritto di avere, vengono riconosciuti in paesi stranieri che li accolgono come fossero figli loro. Sento che tutto questo sia ingiusto e inaccettabile. Ho cresciuto i miei ragazzi con l’idea di andare a scoprire ciò che è diverso da noi ma con la tranquillità che potessero avere l’opportunità della scelta e non della costrizione, del “tanto qui non c’è lavoro”. Ma la realtà è proprio questa. La mia casa è grande e silenziosa. E accarezzo sempre più l’idea di lasciarlo anch’io questo “Bel Paese” che proprio bello non è!!!

    1. Mi viene la pelle d’oca e mi commuovo nel leggere le sue parole che sento anche mie, che faccio anche mie! Uno dei miei due figli (l’altro è in Spagna) è tornato da Londra, dopo due anni spesi su, anche in prestigiosi ospedali, e qui ha provato in una deludente struttura privata che sfrutta notevolmente i ragazzi, e proprio oggi ci ha comunicato di aver ripreso un contatto lasciato aperto su in Uk e probabilmente… ripartirà! Il nostro è un paese senza speranza!

  3. Che bello sentire che qualcuno riesce a stare insieme per le feste! Mio figlio è partito per l’Australia 3 anni fa i primi di dicembre e quel primo Natale senza di lui è stato terribile! Poi l’anno seguente è tornato,ma dopo sono stata 18 mesi senza vederlo! l’Australia è lontano ma io ho imparato a pensare che la cosa importante è che stia bene anche se manca da morire!

  4. Fino ad ora non mi è capitato perchè mia figlia da sola è sempre tornata per le feste. Ora con un bambino…non so. Non eravamo pronti a tutte queste separazioni. Non so tu Kiarella, ma io da ragazza guardavo ad un mondo aperto con estrema gioia. Cos’è che mi ha cambiato: l’età, le delusioni, le radici che riemergono dopo la fase giovanile? Non so. Ma so che non eravamo pronti. Noi siamo ancora famiglia e famiglia significa tutti insieme. Anche solo nelle feste. Ma ancora insieme!

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