Lettera di mamma Beatrice
Sono madre di due trentenni, uno in Francia da 5 anni, l’altra in USA da un anno. Soprattutto quest’ultima si indigna quando sente parlare di cervelli in fuga. Dichiara di non essere in fuga da niente ma di voler solo cercare migliori opportunità e rispetto per le sue competenze, e che forse tornerà, chissà.
Il ragazzo ha scelto la Francia per amore: la compagna boliviana vuole vivere lì, e solo lì.
Dopo cinque anni sono ancora triste e non credo che la tristezza passerà.
Detesto le amiche o pseudo tali che dicono: “Ma non esagerare! Vivi la tua vita! I figli devono fare la loro strada!” E poi loro hanno i figli nelle stessa città, o addirittura nello stesso palazzo, e li vedono e sentono continuamente. La gente perde spesso un’ottima occasione di stare zitta.
Qualcuno dice scherzosamente che è “colpa mia”: Erasmus, viaggi di istruzione all’estero, ed ecco che si sentono cittadini del mondo. Ma non è vero, sono banalmente emigranti. Nessuno dei due frequenta gente nativa del luogo, ma altri emigranti come loro.
Con i miei figli ci sentiamo solo quando telefonano loro; evito di disturbare, sono sempre impegnati, e secondo me non hanno vite facili.
Quello che più mi intristisce è avere la sensazione di non sapere davvero che cosa gli capita, che cosa pensano. E specialmente con il maschio, quando telefona non so che cosa dirgli: parliamo di sciocchezze, provo a raccontare qualcosa delle nostre vite, qualcosa che li riconduca in un’atmosfera familiare che loro hanno abbandonato. Per scelta. Non è vero che qui non avevano opportunità. Non le hanno proprio cercate.
Forse voi siete più brave di me. Io sorrido con loro, ma dentro di me sono molto triste. Eppure ho una vita piena: lavoro, ho un marito che è un ottimo compagno e ci facciamo buona compagnia. Ma mi manca la possibilità di vederli, e temo che non torneranno mai più, e che dimenticheranno le loro radici. E forse questa è l’unica possibilità per integrarsi davvero nel paese dove hanno scelto di vivere.